IL VALORE DELLA POESIA
L'apocalisse, come è stato chiarito da Ernesto De Martino, non va intesa soltanto in senso biblico, cioè quale fine della vita e del mondo, ma anche come crisi e trasformazione di un periodo storico che apre una nuova epoca e un nuovo ordine. Essa è, quindi, una esperienza psicologica collettiva che genera il sentimento della fine, in senso esistenziale. Il mondo entra in crisi, va in disfacimento, si dissolve; e alla certezza della vita, della continuazione, dell'essere, si sostituisce l'angoscia della fine, della distruzione, della morte.
Ogni epoca vive questa esperienza drammatica nel subconscio collettivo, nel profondo della propria coscienza culturale, per cui in ogni epoca noi crediamo erroneamente che una tale esperienza, una tale crisi esistenziale, sia qualcosa di unico e di esclusivo. In questo periodo storico, per esempio, noi stiamo vivendo tra l'altro l'incubo di una catastrofe ecologica e nucleare.
Le apocalissi sono, quindi, un dato comune a tutte le culture. Attraverso esse, queste culture, queste civiltà, riaffermano e riconquistano la loro consapevolezza, il senso della loro storicità, esorcizzando la paura della fine e recuperando o trasformando, come in una rinascita, i valori della vita e delle opere.
A livello individuale, possiamo dire che l'apocalisse è l'angoscia della morte che attende inesorabilmente ciascun uomo. Una possibilità di renderla accettabile, o di vincerne la paura, è quella di affrontarla ed esorcizzarla, attraverso l'esperienza religiosa, iniziatica o artistica.
L'idea del «mondo che si fa morte» diviene in questo modo accettabile; e si può costruire una visione e una interpretazione della fine, della catastrofe, sia essa individuale o collettiva, nel senso della conquista e del superamento, del passaggio da una sfera puramente materiale e terrestre ad una sfera spirituale. In questa direttrice viene ad inserirsi il meccanismo culturale della salvezza, attraverso la quale l'uomo, dopo aver sperimentato la tragedia di una discesa agli inferi, dopo aver conosciuto la morte ed aver meditato su di essa, può riconquistare tutta la sua umanità, attraverso la storia e le opere. La fuga verso il “non essere” comporta quindi un ritorno dell'essere storico, nella consapevolezza dello sforzo umano per modificare e migliorare se stessi e il mondo.
A questa comune esperienza culturale e spirituale si ricollega tutta la grande letteratura. Basti pensare per la poesia all'Ulisse di Omero, alla Divina Commedia di Dante, al Faust di Goethe. L'uomo quindi, egli stesso simbolo, si sforza di chiarirsi a se stesso e di chiarire contemporaneamente la vita, che è trasformazione e presuppone il corrompersi e il ricomporsi delle forme. Il tema del viaggio, reale o psicologico e simbolico, come ricerca e avventura spirituale, è alla base della esperienza poetica sulla linea di confine tra la vita e l'arte: secondo la prima tutti siamo uomini, secondo l'altra dobbiamo incamminarci sulla strada attraverso cui lo si diventi, affrontando le tre grandi domande che possono portare all'autocoscienza, e cioè: da dove veniamo; chi siamo; dove andiamo. Il passato (la civiltà, la tradizione) il presente (la realtà storica) e il futuro (la tensione morale verso un mondo migliore). In altri termini: realizzazione armonica interiore e partecipazione dell'io alla vita universale. Diceva Ungaretti nella poesia "I fiumi": il mio supplizio / è quando / non mi credo / in armonia.
È impossibile, infatti, prescindere dal richiamo al bene di tutti e al progresso dell'umanità, con la quale il poeta deve mettersi in contatto. E come intraprendere una via iniziatica, per acquistare forze e slancio in tutte le direzioni. Incamminandosi sulla via della ricerca, il poeta così diviene consapevole della propria presenza umana e storica nel mondo e comprende la vita come trasformazione, superamento del contingente, flusso continuo e rigenerazione. Giunto al culmine del suo viaggio, alla perfezione del suo capolavoro, egli raggiunge la disillusione assoluta, la liberazione da qualsiasi condizionamento contingente e retorico, divenendo uomo e poeta autentico. Ma la vita in senso intellettuale e artistico ci potrà essere a condizione che prima ci sia stata la morte simbolica, l'assimilazione e il superamento delle idee e delle forme precedenti. Il poeta allora potrà iniziare il suo viaggio alla ricerca di ciò che esprime e realizza la sua umanità attraverso la Parola perduta, per il Nuovo Patto (cioè per il rinnovamento della conoscenza). Solo così potrà essere un uomo nuovo ed esprimere una nuova sensibilità attraverso la sua poesia. In prospettiva, sul piano storico e della prefigurazione del tempo futuro, incamminati ormai nel 2000, noi, come uomini prima ancora che come poeti, dobbiamo porci il problema delle grandi sfide che ci attendono, tra cui quella della cooperazione e della convivenza multirazziale. Dobbiamo cioè superare nel fondo della nostra coscienza, nei recessi oscuri della nostra psiche e non solo nel dettato dei principi formali del diritto, la divisione ancora esistente tra nazioni ricche e nazioni povere, tra bianchi e neri, tra nord e sud. Dobbiamo cioè ancora vincere le belve fameliche della selva oscura di Dante per una nuova umanità e una nuova poesia.
A tutto quanto sopra va aggiunto un discorso a sé, sulla specificità del linguaggio poetico che si fonda su un suo "statuto del segno". E un altro ancora, sulla lingua propria di ciascun poeta, che non deriva solo dalla lingua nazionale, con i suoi accenti, i suoi toni, i suoi ritmi e la sua armonia, ma anche, specie in Italia, dalla coesistenza di lingua e dialetti che accumulano in ciascuno di noi importanti sedimenti sociali e culturali: tanto che si è detto che in realtà ognuno di noi pensa in dialetto e poi parla in lingua. In questo contesto noi possiamo esaminare tutte quelle variazioni succedutesi soprattutto nelle poetiche del Novecento e che il Devoto chiama "evasioni", come esigenze espressive proprie rispetto alle strutture e al sistema linguistico codificato: dalle sentimentali, alle realistiche, alle futuriste, alle ermetiche, alle neorealiste, alle sperimentali. In prospettiva, per dirla con Stefano Agosti: "I significanti in poesia se, da un lato, rimandano pur sempre ai significati, dall'altro si costituiscono invece come entità autonome e, al limite, depositarie esse stesse di senso. Il significante insomma rinvia, oltre che al significato - che tuttavia condiziona e deforma - anche a se stesso, istituendosi come il significato di sé". Per cui "in poesia, al significante ordinario si sovrappone tutta una complessa articolazione di significanti supplementari: fonetici, timbrici e ritmici" i quali determinano da un lato una nuova e diversa relazione con il significato e dall'altro l'assunzione di un significato proprio, che produce valori di senso non semantici, cioè non razionalizzabili, propri delle strutture formali. Nel verso quindi, per la sua particolare struttura fonica, tutti gli elementi che lo compongono concorrono all'effetto complessivo. Potremmo dire a questo punto che la forma è la struttura stessa del poeta, la sua capacità di elaborare ideologicamente e artisticamente gli strumenti e i materiali fonici, morfologici e sintattici di cui dispone, nel contesto del suo patrimonio culturale e del "sentimento del tempo" in cui vive.
Angelo Manuali
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