Poesie e note critiche
IL VOLO
Maestosa ed ampia d’ali
oltre lo sguardo l’aquila s’innalza,
sconfina e nell’azzurro spare.
Un presentimento l’accompagna
e a lei s’aggiunge in volo.
D’ogni significare
dell’umana sorte
più forte volere forse non c’è
dell’infinito andare
che l’animo appaghi,
anche se al sopravvento
della tirannide del tempo
il tributo dei giorni cede.
Intanto, fino al disparire,
salda resti la presa
affinché resa non sia
ma dignitoso addio.
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IL VISSUTO SACRO DI UNA VITA
Anche se a gradi, con gli anni,
il giovanile vigore declina,
dentro l’ampio respiro dei pensieri
che sciamano nella tenera sera
l’energia della mente ancora resta.
E nella solitudine del buio,
dove il dubbio s’accresce
della rotta finale del destino,
non teme il passo di avanzare
giacché il vissuto sacro di una vita
nenche la morte può annullarlo.
“… Manuali ci ha consegnato un diario di vita, che la poesia aiuta a scandire e segnare per sempre. Nello stile alto del suo poetare, classicamente contemporaneo, c’è la dignità e la nobiltà di chi crede nella vita come valore assoluto, da difendere e preservare da ogni vile e violento attentato. Il lettore partecipa e condivide il cammino di questo cordiale compagno di viaggio, il poeta, nel cui destino tanto amabilmente si rispecchia e ritrova.” Francesco D’Episcopo (Dal volume Il tributo dei giorni, 2012)
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ANCHE I FANCIULLI IMBRACCIANO I FUCILI
Lungo gli arenili e sui pianori
sparsi di casolari bianchi,
impervie strade aride colline
in cui un’aria rarefatta
quasi immobile ristà
dentro i torridi coni delle luce,
una stanchezza di gesti ristagna
in rade pozze specchianti.
Un passato di simulacri inganna
la gravità solenne dei rimpianti
e antiche scorie bruciano i pensieri.
Di là dal ciglio d’un balzo
si potrebbe colmare la distanza
varcando il confine ad ogni passo.
Ma nel groviglio delle moltitudini
anche i fanciulli imbracciano i fucili
e il fuoco degli accampamenti
infiamma gli animi, eccita le menti,
perché non si corrompa la memoria
ed alimenti il giuramento una promessa
da custodire come un tabernacolo
dentro la pietra sacra di un sepolcro.
Gerusalemme libera, Gerusalemme
santa! Tu gloriosa, tu grande,
nei secoli consacrata
concedi a tutti un Dio di pace
che sciolga ogni detrito del passato
dentro le acque dolci del Giordano
lungo le coste amate del Mar Rosso.
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L’ULTIMA DIMORA
Quando l’erboso sentiero dei cipressi
silenzio e solitudine diviene,
solo i guardiani della morte
in cupe ombre s’ergono.
In queste valli ora m’immergo,
in strettoie d’asfalto
tra pareti di rocce m’insinuo:
antica mulattiera che al corso
s’intreccia del torrente.
Terra mia in cui m’avvolgo,
degrado o fino alla cima
dell’antico colle m’inerpico,
su queste balze, in queste brevi
radure della prima età
lieta trascorse la stagione.
Altra realtà ora mi governa;
ma quando qui per poco torno
tutto il richiamo sento del passato:
angolo di memorie e di pietà
che le spoglie racchiude dei miei morti,
figure ancora vive nella mente
o volti appena conosciuti o scorti
in effigie, per loro antica nascita.
Tutti qui son sepolti da quando
vollero gli avi che santo divenisse
un campo delle loro terre.
Del nostro andare incerte son le sorti;
e se pure a lungo ora non resto
tutto il passato porto nella mente
dove pare che una finestra s’apra
da cui s’affaccia l’anima.
Vorrei supino stendermi sui prati
come facevo da ragazzo
per numerare stelle e riascoltare
leggende contadine
nel tepore di quelle sere estive.
Luoghi dell’infanzia, di queste brevi
soste più non m’accontento.
La nostalgia della mia terra che dentro
mi porto, insieme agli anni cresce.
Ora parto, ma tornerò di certo.
Qui ho le mie radici, qui
sono i miei morti e qui le ragioni
di una lunga vita.
Un giorno, infine,
anch’io riposerò tra queste valli
su questa mia collina
dove già pronta è l’ultima dimora.
(… In queste poesie s’impongono versi ed immagini di un lirismo e di una musicalità morbida, introflessa, in cui il ritmo del verso, sfuggendo all’imbrigliamento della ragione, sembra espandersi liberamente nella fluidità del sentimento, del ricordo, degli affetti, della nostalgia, della speranza…” Graziella Corsinovi (Dal volume Al limite del dire e del capire, 2000)
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LA PENA DI VIVERE
Più non mi sentirei,
senza di te, me stesso
giacché forza mi dà la tua presenza
e mi consola.
La dolcezza
un po’ triste dei ricordi
è come questa lunga cena
al lume di candela
mentre i camerieri
già rassettano i tavoli
e noi siamo ancora qui
con la nostra pigra intimità.
Ma è tempo ormai di andare.
Nella strada,
il fresco della sera
ci accarezza il viso.
È un’altra notte
che tutta ci appartiene
facendoci sentire che la vita
vale la pena di viverla.
“Colpisce la leggibilità di questi versi (Io e Lei), come se lo stesso tema inducesse le parole ad adagiarsi nel verso, dismettendo ogni asperità e rendendosi, anzi, più aeree. La limpidezza di scrittura si correla all’intensità del sentire, come in un processo osmotico…” (Lucio Zinna, 2008)
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NOTE CRITICHE
(…) Il tuo libro mi è piaciuto moltissimo. La tua poesia si è fatta più profonda, più meditativa, più introspettiva. E vi ho avvertito una dolente saggezza di vita che si esprime nel verso limpido e fermo e nel linguaggio di un’estrema purezza. (Giorgio Bárberi Squarotti, 1987)
(…) Ho avuto il tuo Fino in fondo, che ho letto subito con grande partecipazione e anche con molta sorpresa (…) Il fatto che le tue poesie mi abbiano tanto impressionato contiene già implicitamente un giudizio di grande approvazione perché sei riuscito a dire con parole ferme e lucide un tumulto di sentimenti che è riuscito così a farsi scrittura, che è un’impresa tutt’altro che semplice e che posso immaginare quanto sia costato. (Giuliano Manacorda, 1987)
(…) C’è da ricordare che, più che il bel canto, ad Angelo Manuali sta a cuore la dolente testimonianza di un uomo del nostro tempo. Ed è proprio questo, a nostro giudizio, che conferisce alla sua parola una risonanza più vasta e una solidità più certa, che ne assicurano la durata oltre i limiti del Novecento, (Vittorano Esposito, 1992)
La religione dell’uomo mi appare il sentimento di più vivo rilievo nell’excursus manualiano, una religione intesa non come sentimento mistico, ma fraterno, di partecipazione, pur avvalendosi a volte della magia poetica del linguaggio mistico. Infatti la facoltà artistica chiama in gioco la variatio dell’ineffabile (già messa in luce) ed avvicina non alla presenza del numen, ma dell’ispirazione. La poesia allora, a monte della religione dell’uomo, è, per Manuali, il surrogato della percezione del divino… (Maria Grazia Lenisa, 1992)
(…) Quella di Manuali è voce alta e libera, indifferente alle tante sollecitazioni di comodo. Parole destinate all’uomo; e anzitutto a se stesso, perché il divenire dell’io soggettivo abbia un referente primario nell’annotazione che suscita, dalle mille ombre del tempo, sussulti e speranze, repentine illuminazioni e malinconie, tutti i miti aurorali e le concretezze laceranti… (Renato Civello, 1995)
(…) In Manuali il verso scivola, la pagina scivola all’altra pagina, e tu arrivi alla fine e ti accorgi che non hai faticato (già grande privilegio, oggigiorno) e però dentro ti si è scavato un solco di sensazione, di meditazione. Dunque hai trovato poesia. (Mario Dentone, 1999)
(…) Un’opera così fervida di religiosità (Al limite del dire e del capire), di tensione, di ansie, protette dal velo della rassegnazione e della razionalità, tende non solo a superare il limite della parola, come accade ai veri poeti, ma anche quello della logica, pur dichiarata, strettamente legata alla nostra cecità dell’Oltre. (Maria Grazia Lenisa, 2000)
(…) La poesia di Angelo Manuali, in questa raccolta (Io e Lei)… come sempre è caratterizzata da un linguaggio prosastico adatto alla natura del contenuto e soprattutto: misurato, essenziale, incisivo. Non c’è spreco di parole. Così come non ci sono lacrime. Il libro, al di là dell’amarezza contenuta in un’analisi esistenziale condotta con un distacco quasi costante, è un inno alla vita e all’amore… (Pasquale Matrone, 2008)
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